Tassa o imposta di soggiorno: cos’è e perchè si applica?

UNA NOTIZIA PER DUE.

Si presenta indigesta nel nome: tassa di soggiorno, che diventa imposta di soggiorno per i più raffinati, per altri solo l’ulteriore balzello a carico di pochi. Nata con lo scopo di contribuire allo sviluppo del territorio che la impone, è da sempre oggetto delle ire furiose di chi deve pagarla, soprattutto se i servizi vantati non si trovano poi nella concreta quotidianità del turista di turno che, alloggiando in strutture ricettive, deve sottoporsi al rituale prima di andare via. Ma di cosa stiamo parlando: l’imposta di soggiorno, detta anche tassa di soggiorno, è un’imposta di carattere locale applicata a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive di territori classificati come località turistica o città d’arte.

La sua storia è antica: istituita nel 1910 per le sole stazioni termali e balneari fu estesa, nel 1938, alle altre località di interesse turistico, per poi essere abolita a decorrere dal mese di gennaio  del 1989. Fra le motivazioni per le quali in Italia era stata soppressa occorre ricordare i  campionati mondiali di calcio del 1990. In quell’occasione si considerò che l’abolizione dell’imposta avrebbe consentito prezzi più bassi da parte degli alberghi e degli altri esercizi ricettivi durante l’evento e che ci sarebbe stata una maggiore competitività. La pacchia durò poco e nel 2009 arrivò la sua reintroduzione.

La norma nazionale dà facoltà alle amministrazioni comunali, con proprio regolamento, di adottare o meno l’imposta a seconda di autonome esigenze di bilancio o scelte politiche, diverse da comune a comune. Nel 2013 sono stati 500 i Comuni italiani che hanno applicato l’imposta di soggiorno garantendosi un incasso di oltre 287milioni di euro, pronti a diventare oltre 382milioni nel 2014. Cosa prevede la norma per l’utilizzo delle somme raccolte? In primo luogo i proventi dovrebbero essere utilizzati per manifestazioni ed eventi culturali, per la sostenibilità ambientale, per il sostegno alle istituzioni, per i servizi di trasporto pubblico e, in misura più limitata, per la promozione.

Tuttavia dalla rilevazione effettuata dall’Osservatorio Nazionale sulla Tassa di Soggiorno curato dal centro studi Panorama Turismo, emerge soprattutto che le Amministrazioni Comunali faticano a dichiarare con chiarezza gli investimenti che fanno con i proventi dell’imposta di soggiorno. Di certo si assiste ad una notevole diversità nella gestione di tali fondi: sono pochi i casi in cui i rappresentanti del Comune decidono, insieme alle associazioni di categoria, dove investire tali proventi, perché nella maggior parte dei casi le Amministrazioni gestiscono i fondi in maniera autonoma, senza concertazione con le categorie. In realtà si tratta di incassi destinati alle attività più varie, anche di spesa corrente o per non meglio specificati “fini sociali”, non sempre in linea con le finalità turistiche. Insomma, per tanti è solo un modo per mettere le mani nelle tasche di turisti, felici e ignari, convinti che quel piccolo contributo economico possa essere un grande aiuto per il territorio capace di regalare emozioni. L’importante è non deluderli.

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