Alla scoperta dell’Alta Gallura, il Nuraghe Majori a Tempio Pausania

Un tipico nuraghe “gallurese” di tipologia mista.

La Sardegna è spesso descritta come un vero e proprio Continente. Persino una campagna promozionale della Regione Sardegna di qualche anno fa, riprendendo il titolo dell’opera di Marcello Serra, recitava “Sardegna, quasi un continente”. Ma per fare di un’isola, a maggior ragione piccola come la nostra, un continente, devono sopraggiungere molteplici condizioni che oggi non ci sono.

Ora, nessuno ha la pretesa di definire la Sardegna un continente, non potrebbe esserlo,  ma di sicuro le diversità che attraversano la nostra isola sono tali e tante da darci questa percezione.  Qualche esempio? Abbiamo il mare, ma anche aspre montagne, ci sono aride e magnifiche dune di sabbia, ma anche rigogliosi e sempreverdi boschi. Gastronomicamente parlando da nord a sud le differenze sono più che rilevanti. Ma non è tutto; dal punto di vista linguistico il Sardo, universalmente riconosciuto come lingua, presenta delle varianti, ma sono presenti anche dialetti come il Catalano ad Alghero, il Turritano a Sassari e il Gallurese nella parte di nord-est. Quest’ultima è considerata un’isola nell’isola, e non solo per il suo dialetto. Anche nell’Età del Bronzo in Gallura si potevano cogliere alcune differenze architettoniche rispetto al resto dell’isola. In maniera errata, si pensava che in Gallura la Civiltà Nuragica non si fosse sviluppata appieno poiché le strutture non raggiungevano la monumentalità di alcuni siti presenti nel centro-sud Sardegna.

Questi erano e sono degli assunti che non rispondono al vero, a meno di non incorrere in una superficiale analisi. Grazie soprattutto agli studi condotti dall’archeologa Angela Antona, già funzionario della Soprintendenza dei Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, si è capito che alcune diversità riscontrate nei vari nuraghi galluresi erano imputabili all’adattamento delle popolazioni nuragiche al nostro territorio.

Difficile immaginare in Gallura nuraghi di dimensioni simili a “Su Nuraxi”, data la morfologia di questa parte dell’isola. Ciò che la popolazione nuragica ha intelligentemente fatto con la costruzione dei nuraghi in Gallura è servito a sfruttare, a proprio vantaggio, gli spuntoni granitici già esistenti, inglobandoli all’interno delle strutture murarie. Uno degli esempi più calzanti è rappresentato dal Nuraghe Majori di Tempio Pausania. Questo è un tipico nuraghe “gallurese” di tipologia mista, in quanto al suo interno sono presenti le caratteristiche proprie del nuraghe a corridoio (angusti corridoi ricavati all’interno delle murature), ma anche quelle del “classico” nuraghe troncoconico, ovvero la Thòlos, altrimenti detta falsa cupola. Attualmente circondato da un generoso bosco di lecci, querce e frassini, il nuraghe si installa al di sopra di una cupola granitica a 498 metri sul livello del mare, in una posizione di controllo del territorio su cui s’impone.

Non appena arrivati, si è accolti dalla preparatissima archeologa Miriam Spano che da anni si prende cura, con ottimi risultati, sia dei visitatori sia del nuraghe. Giunti nei pressi dell’ingresso si è subito rapiti dalla grandezza degli enormi blocchi granitici; l’entrata è posizionata in direzione sud-est sia per ripararsi dal maestrale sia per consentire l’accesso ai raggi solari nelle ore più importanti della giornata. Una volta oltrepassato l’ingresso si aprono sui lati due vani ovoidali con copertura a thòlos. Una piccola curiosità riguarda uno dei due vani in cui è presente,da Aprile a Ottobre, una colonia di piccoli pipistrelli (Rinolophus hipposideros), per cui l’ingresso è consentito a piccoli gruppi ed è vietato l’uso del flash per scattare foto.

Continuando lungo il corridoio si giunge a un cortile semicircolare da cui si accede, attraverso una scala, al piano superiore. Da qui è possibile godere di una vista mozzafiato; fanno parte del panorama il Monte Limbara e il piccolo paese di Aggius. In questa porzione del nuraghe è presente un silos, anch’esso costruito a falsa cupola e utilizzato per la conservazione delle derrate alimentari. I dati scientifici emersi dagli scavi archeologici, promossi dalla Soprintendenza e condotti dall’Antona, fanno risalire la fondazione del monumento al Bronzo Medio (XIV a.C.) mentre l’abbandono risale all’Età del Ferro (tra il IX e VIII secolo a.C.). I ritrovamenti consistono in materiali ceramici quali tegami, tazze e olle, tutti compatibili con l’uso abitativo della struttura. Tutt’intorno si trova, non ancora indagato, il villaggio costituito da capanne costruite in pietra e materiale stramineo.

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