Zucchero si racconta: la vita, la depressione e il successo. “Avevo pensato di farla finita”

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Dal lavoro in un caseificio prima della scuola al concerto con Pavarotti.

Adelmo Fornaciari, ovvero, il famoso cantante Zucchero, che questa sera sarà il protagonista del concerto di Capodanno di Olbia insieme a Salmo, si è raccontato in un’intima intervista al Corriere della Sera – di cui riportiamo alcuni stralci -, riuscendo a descrivere non solo lo stile di vita, ma anche l’ambiente in cui è nato il suo stile musicale.

Cresciuto in una famiglia di contadini, era uno studente educatissimo e timido, per questo fu la maestra a soprannominarlo “Zucchero”. Da piccolo, quando viveva ancora nelle campagne emiliane, dava una mano al papà nel caseificio in cui lavorava: “Prima di andare a scuola dovevo accendere le caldaie, e mio padre mi dava il tosone del formaggio, che era la mia merenda”, racconta il cantautore.

Poi il papà aprì un negozio di alimentari a Forte dei Marmi: “D’estate diventavamo matti – prosegue -: i miei in negozio, io in giro con una bicicletta pesante fino a sera per le consegne. L’inverno era di una tristezza infinita, facevamo 15mila lire di incasso, non di guadagno”. Nonostante ciò la musica era già una parte della sua vita: “A 9 anni a Reggio avevamo già un gruppetto, provavamo i canonica la domenica pomeriggio con il permesso del prete. Facevo il chierichetto, in cambio mi lasciava suonare l’organo”.

L’incontro con Mogol.

Infatti l’artista ha iniziato come musicista: “Ho cominciato a scrivere i miei testi per reazione. La casa discografica mi mise accanto Mogol, ma a Sanremo portai “Donne” scritta da Alberto Salerno”. E Mogol si arrabbio: “Mogol si rivolse a me, così: “Dove credi di andare? Non hai la faccia giusta, la cazzimma”.

L’amore tormentato.

La casa discografica voleva licenziarlo, ma una serie di eventi fortunati gli permisero di avere l’ultima chance, con un disco che valse un ingaggio da 40 milioni. Arrivò l’amore, la sua ex moglie Angela: “Era bellissima – racconta Zucchero -, ma mi colpì la malinconia dei suoi occhi. Prima che partissi per suonare un mese al Forte Village in Sardegna mi lasciò. Quando tornai le chiesi di sposarmi e accettò. E’ stato un grande amore e anche un inferno. La mia preoccupazione era farla sorridere e renderla felice. Mi indebitai di 500 milioni per prenderle una casa vicino a sua madre. Così scivolai nella depressione. Non sapevo dove prendere il denaro, dovevo pagare 50 milioni ogni sei mesi”. Così Zucchero inizia a cercare tutti i suoi vecchi impresari, che però non gli offrivano più di 20 milioni per l’ingaggio.

Un colpo di fortuna.

Ancora una volta un incontro fortunato: l’agente dei Matia Bazar lo mise in contatto con un ex musicista che voleva diventare produttore, Michele Torpedine. Subito la firma del contratto. E’ il 1986, Zucchero scalpita, ma il nuovo manager gli impone di stare fermo: “Quest’anno stai fermo e scrivi“, gli ordinò. E l’anno dopo Zucchero esplose con una serie di pezzi di successo: “Con le mani”, “Pippo”, “Solo una sana e consapevole libidine”.

L’incontro con Pavarotti e la battaglia vinta contro la depressione.

Ma io ero depresso – prosegue nel racconto il cantante -. Il mio matrimonio stava finendo“. Così si ritirò prima dai suoi, poi in una casa al mare. E scrisse Miserere, facendo registrare una demo a Bocelli, ancora sconosciuto, per convincere Pavarotti a cantarla con lui. “Ero davvero depresso, leggevo Bukowski perchè almeno lui stava peggio di me. Scrissi Miserere e pensai che per cantarla ci volesse un tenore. Mi avvisarono che Pavarotti non avrebbe accettato mai, che lui ste cose non le fa”. Pavarotti infatti rifiuta il primo approccio di Torpedine e della casa discografica. Poi ci prova Zucchero, telefonando a casa di Pavarotti a Modena. La figlia di Pavarotti conosce Zucchero ed è una sua fan, così il tenore lo invita a pranzo. “Pavarotti mi dice che non può. E io: questa canzone la puoi cantare solo tu, se non vuoi cantarla io la brucio. E la butto nel caminetto. Luciano ci rimane malissimo. “Tu sei matto, mi dice” – prosegue nel racconto Zucchero -. E ora come fai a ricordarla?” Vedrai che me la ricordo”, risponde Zucchero. E Pavarotti accetta. Probabilmente il punto più alto della carriera del cantautore emiliano.

“Quando ero depresso stavo malissimo – racconta Zucchero -. Volevo farmi fuori, attacchi di panico fortissimi, cose che non auguro a nessuno. Prendevo il Prozac ma non sentivo più niente. Ero al massimo del successo e non volevo più salire sul palco. Ci ho messo sei anni per uscirne, mi sono ricostruito pezzo a pezzo”.

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