La rabbia del campo nomadi di Olbia: “Se ci sfrattano andiamo davanti al Comune”. IL VIDEO

Il campo nomadi verso la chiusura.

L’odore ti entra nelle narici. “Colpa del depuratore”, dicono loro puntando il dito. Per terra c’è un rigagnolo d’acqua. Arriva da lì, da oltre la rete, dalle vasche di trattamento dei reflui. Tutt’intorno cumuli di rifiuti. Ci sono resti di porte e finestre, calcinacci, parti di ricambio di auto e anche una quantità impressionante di frutta e verdura andata a male.

Il sindaco di Olbia Settimo Nizzi gli ha intimato lo sfratto entro il 30 giugno. Ma all’interno del campo nomadi di Sa Piana Manna, tra l’aeroporto e il Castello di Pedres, non si respira aria di smobilitazione. Anzi. I nomadi da lì non vogliono andarsene. O non vorrebbero. “Siamo olbiesi come voi”, dicono. E a giudicare dall’accento e da quello che c’è scritto sulla carta d’identità impossibile dargli torno. “Alcuni di noi sono qui da 30 anni. I nostri figli sono nati qui, vanno qui a scuola. Perché mandarci via?”, si anima Raul, nome di fantasia per indicare uno dei dirigenti del campo.

Il Comune ha deciso per la chiusura del campo nomadi alle porte di Olbia. Una scelta dettata dalle richieste europee, che impone il supermercato di queste strutture per favorire l’integrazione. “Ma c’era tempo fino al 2020. Perché farlo adesso? – interviene Amos -. Poi ci aveva assicurato che ci avrebbero aiutato a trovare casa. E invece nessuno ci sta dando una mano”.

L’amministrazione ha stanziato un contributo per favorire il loro reinserimento. Dovrebbero usarli per prendere un’abitazione in affitto, per cercare un terreno. “Ad ogni famiglia dovrebbero andare tra i mille e i 3mila euro. Che ci facciamo solo con questi soldi?”, si lamentano. Per questo chiedono ancora tempo al sindaco Nizzi. E chiedono un aiuto nel trovare le nuove abitazioni dove andare a vivere. “Ci hanno detto che potremmo stare qui fino al 15 luglio, ma dopo basta. E noi cosa facciamo dopo? Andiamo fuori al Comune a protestare?”.

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