Crisi del sughero, da dove nasce e perché ha messo in ginocchio il territorio gallurese?

Crisi del sughero, il sindaco Loddo ci racconta uno dei mestieri più antichi legati al territorio gallurese.

L’arte della lavorazione del sughero, trasmessa dai francesi nella prima metà dell’Ottocento, è uno dei mestieri più antichi legati al territorio gallurese. Fino a quel momento, loro stessi, a fine primavera, acquistavano intere partite di sughero dai proprietari terrieri, lo trasportavano con le vaporiere in Francia dove veniva lavorato. Per poi essere utilizzato per la tappatura dei loro prodotti vitivinicoli.

Oggi, a causa della crisi 80 lavoratori galluresi vedono sfumare quella che in passato era considerata una certezza. La crisi del sughero ha coinvolto tutte le aziende presenti sul territorio come l’azienda Ganau. La settimana scorsa si è svolto un incontro tra l’Unione dei Comuni e una delegazione degli operai licenziati. Presente il sindaco di Calangianus Gio Martino Loddo che conosce molto bene il territorio e le sue problematiche. “La crisi del gruppo Ganau – spiega Loddo – è aggravata dalla mancanza di comunicazione tra l’azienda e i lavoratori. E’ un vero peccato perché l’arte del sughero è legata a questa terra da decenni”.

Loddo ci racconta, con orgoglio e un po’ di rammarico, la storia di un’arte affascinante, tipica del territorio gallurese. Come veniva lavorato il sughero? “Il turacciolo, così viene chiamato il tappo di sughero naturale, viene ricavato dalle strisce di sughero – spiega il sindaco -. Dopo essere pulito e fatto stagionare nei cortili la forma grezza di questi è quella di un parallelepipedo, il cosiddetto quadretto che subiva un altro ciclo di lavorazione per assumere la forma cilindrica caratteristica. In poco tempo le macchine hanno sostituito gradualmente il lavoro manuale. L’evoluzione più importante è stata quella della fustellatrice, dove un cilindro in acciaio affilato alla sua estremità affondava nella striscia di sughero. Da li veniva ricavato già il turacciolo con la sua forma definitiva”.

Dalla metà dell’800 il territorio gallurese è cresciuto molto, cosi come Calangianus. Tanto che per decenni era conosciuto come uno dei paesi più ricchi d Italia. E di disoccupazione non ve n’era traccia. “Si stima che nel periodo più florido – prosegue Loddo – fossero occupate almeno cinquemila unità lavorative. In passato, in primavera gli artigiani cercavano partite di sughero da acquistare. Dovevano scegliere se estrarre il sughero direttamente dalla pianta o acquistare le partite di sughero estratte e scattate in base alla qualità. Gli artigiani dovevano avere grosse risorse economiche che per la maggior parte non avevano e per questo accedeva al credito da parte delle banche che poi ricevevano indietro i soldi prestati più gli interessi dopo alcuni mesi e dopo averlo venduto il prodotto finito alle cantine sociali”. Negli ultimi decenni, il turacciolo era molto richiesto e con questa operazione vi guadagnavano tutti i protagonisti della filiera. Il sistema funzionava e produceva ricchezza. Non a caso a Calangianus esistevano almeno quattro filiali bancarie, adesso ne sono rimaste tre.

Questo salto nella storia del sughero, ci aiuta a tracciare il percorso e i motivi che hanno portato a questa crisi. “La crisi dei Ganau è una problema che ha molte cause – afferma -. Una fra queste è l’accesso al credito. Le banche, già in difficoltà, non concedono prestiti anche a breve termine per acquistare la materia prima. Di conseguenza gli artigiani sono le prime vittime di questo meccanismo. Si aggiunge anche la concorrenza delle industrie estere in, particolare portoghesi, che acquistano la materia prima togliendola agli artigiani e industriali. Ma anche il problema del Tca, sostanza prodotta da alcuni microorganismi saprofiti del sughero, che confereisce il caratteristico sapore di tappo al turacciolo.  Il silicone e anche il microgramulato per certi versi hanno contribuito al declino del tappo naturale che oggi occupa una nicchia del mercato e soltanto per quei tappi di alta qualità destinati alla tappatura dei vini più nobili”.

Quale potrebbe essere una soluzione per salvare le aziende colpite dalla crisi? “Non è facile stabilirlo – continua-. Perché innanzitutto l’utilizzo degli ammortizzatori sociali non può trascurare un piano industriale da parte dell’azienda in crisi. Un piano che ancora non esiste e che in questo caso presenta molte difficoltà. Un esempio tra tutti è il territorio. Il territorio dell’Alta Gallura non è riconosciuto dalla Regione come area di crisi a differenza del Sulcis, dell’area di Porto Torres, Macomer e tante altre. Questa non da la possibilità di poter usufruire di alcune facilitazioni o deroghe”.

Purtroppo i tempi della politica e la burocrazia non aiutano a risolvere il problema nell’immediato. Si è parlato di ricollocazione, riqualificazione e riprofessionalizzazione, Ma è questa la giusta soluzione? “Secondo me – conclude Loddo – questi operai non hanno bisogno di essere riqualificati perché sono già specializzati. Nonostante tutto, la richiesta da parte delle aziende è ancora alta. La mia proposta è quella di utilizzare l’Unione dei Comuni come elemento di garanzia cercando di sensibilizzare le aziende sane in una pianificazione che possa prevedere la riassunzione dei dipendenti”.

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