“Prima le avance poi le minacce”. La brutta storia capitata sul lavoro ad una giovane

violenza domestica

Una storia di violenza sul posto di lavoro.

Perché non sei scappata? Perché non hai urlato? Perché non ti sei difesa? La violenza di genere è una delle maggiori discriminazioni attuate nel mondo contro le donne, così come il muro che si alza spesso per bloccare il tentativo di denunciare il proprio orco. Denuncia che in alcuni casi può anche salvare la vita. Questa che raccontiamo è la storia di una giovane donna di 35 anni, che teniamo volutamente anonima, che vive in Gallura e che ha deciso di raccontare la sua incredibile storia capitata alcuni anni fa.

“Quando ho raccontato la mia storia al mio ex, del quale mi fidavo – ci dice questa ragazza dal sorriso etereo e dall’occhio un po’ perso nel vuoto mentre ci parla -, anziché aiutarmi mi ha detto perché non mi fossi ribellata o non fossi scappata”. Anni fa si è trovata a subire delle molestie da parte del suo ex datore di lavoro.

“Al momento dell’assunzione mi sembrava una persona normale, non avevo capito i suoi intenti, poi la situazione è cambiata dopo alcuni giorni”. Ottiene il posto come segretaria e qui comincia il calvario. “Un giorno il mio titolare mi chiede di sedermi in braccio a lui – racconta -. Io ero terrorizzata non sapevo come comportarmi. Non so perché, ma lo assecondai per soggezione”. Non ha il coraggio di rifiutare, per paura di perdere il posto o che la situazione degenerasse. “Spesso mi trovavo sola in ufficio con lui – prosegue – , quindi non c’erano nemmeno testimoni”.

La situazione va avanti. L’ex datore di lavoro un giorno le chiede di fargli un massaggio, un altro giorno le tocca la schiena. Poi, è arrivato un bacio. Un’escalation agghiacciante. “Decido che l’unica era arrivare apposta in ritardo a lavoro rivive quei momenti la vittima -. Lui capisce, però, la situazione ed inizia a diventare violento”. Agli abusi seguono delle vere e proprie violenze di tipo psicologico. “Se continui a venire a quest’ora torni a casa – prosegue -. Non vali nulla, non sai fare il tuo lavoro, ti hanno regalato la laurea”. Oppure viene incolpata di cose assurde.

Poi accade una cosa che la convince che così non si poteva andare avanti e che l’unica è lasciare il lavoro. “Un sabato, mi ricordo che stavo cucinando, era il mio giorno libero – riprende -. Mi chiede di andare alle 13 subito in ufficio, perché ha bisogno di me per il sito web”. A quel punto gli risponde seccata che avrebbe sistemato il sito da casa. “Avevo paura di andare sola, quel giorno non c’era nessuno. Il mio rifiuto scaturisce, però, la sua vendetta e per punizione mi segna il turno lavorativo tutta la settimana, anche la domenica, senza giorno di riposo”, racconta.

Quando rassegna le dimissioni, le minacce non finirono. “Mi dice che poteva denunciarmi per essere entrata nel suo sito, fatto da me, a casa mia e per un presunto furto, che il suo avvocato sapeva tutto”. Non lo denuncia. Pensa alla fine che non ne vale la pena. Che è meglio cercare di dimenticare in fretta. Ma la cosa che ancora la turba, a distanza di anni, è quello che le aveva dato il suo fidanzato di allora. “Mi aveva domandato esterrefatto: ma perché hai continuato a lavorare là? Come se fosse stato solo quello il problema il tutto”.

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