Eva Robin’s in Gallura, “Le Serve” in scena ad Arzachena e Tempio

Arriva in Gallura l’attrice Eva Robin’s.

Il fascino (in)discreto della borghesia e dell’aristocrazia, dove l’imperativo noblesse oblige si traduce in una sobria ostentazione, il lusso e l’eleganza rappresentano un’abitudine e le differenze di classe costituiscono un limite invalicabile ne “Le Serve” di Jean Genet, un classico del Novecento, in cartellone – in prima regionale – mercoledì 6 marzo alle 21 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena, giovedì 7 marzo alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, venerdì 8 marzo alle 21 al Teatro Civico “Oriana Fallaci” di Ozieri e infine sabato 9 marzo alle 21 al Teatro Centrale di Carbonia sotto le insegne della Stagione 2023-2024 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con la direzione artistica di Valeria Ciabattoni e con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e del Comune di Cagliari e dei Comuni aderenti al Circuito, con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Sotto i riflettori un’icona della cultura transgender come Eva Robin’s, eclettica attrice e conduttrice, all’attivo una carriera teatrale che spazia da “La voce umana” di Jean Cocteau e “Il frigo” di Copi, a “Giorni Felici” di Samuel Beckett e “Tutto su mia madre” di Pedro Almodóvar fino a “Evə” di Jo Clifford, oltre alle apparizioni cinematografiche e alla partecipazione a programmi televisivi, films e serie tv (con nominations ai Nastri d’Argento per “Belle al bar” di Alessandro Benvenuti e al Premio Ubu per “Tutto su mia madre” con regia di Leo Muscato) nel ruolo di Madame, fulcro intorno a cui ruota la vicenda, irraggiungibile oggetto del desiderio, la padrona su cui le cameriere riversano sentimenti ambigui d’amore e d’odio. Le serve (in)fedeli, le due sorelle Claire e Solange, sono interpretate rispettivamente da Beatrice Vecchione (già diretta da registi come Valter Malosti, Mario Martone e Leo Muscato) e Matilde Vigna (Premio Ubu 2019 come Migliore attrice under 35 e Premio Eleonora Duse, finalista al Premio Ubu 2022 per la miglior novità drammaturgica italiana con “Una riga nera al piano di sopra”), due giovani e talentuose attrici, con una mise en scène in chiave metateatrale firmata da Veronica Cruciani (co-produzione Nidodiragno / CMC – Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale – Teatro Stabile di Bolzano).

“Le Serve” (Les Bonnes) di Jean Genet è una moderna tragedia, ispirata a un fatto di cronaca, trasfigurato in un’allegoria del potere: in una sorta di gioco perverso, dove manifestano la propria sconfinata ammirazione e la propria distorta devozione per Madame, le cameriere a turno ne indossano gli abiti, ne imitano i modi alteri e raffinati, il distacco e l’aria di superiorità, la gentilezza e la generosità, con note beffarde e crudeli, in una cerimonia che dovrebbe culminare nel “sacrificio” della padrona, ma rimane incompiuta, interrotta dal ritorno di colei che suscita passioni così forti e ambigue, ai confini della follia. «La rivolta delle Serve contro la padrona non è un gesto sociale, un’azione rivoluzionaria, è un rituale» – sottolinea la regista Veronica Cruciani, che ha curato anche l’adattamento del testo, nella traduzione italiana di Monica Capuani –. “Questo rituale è l’incarnazione di una frustrazione: l’azione di uccidere l’oggetto amato ed invidiato non potrà essere portata a compimento nella vita di tutti i giorni, quindi viene ripetuta all’infinito come un gioco. Tuttavia questo gioco non raggiunge mai il suo apice, la messa in scena che le due sorelle compiono viene continuamente interrotta dall’arrivo della padrona. Questo fallimento è inconsciamente insito nel cerimoniale stesso che le Serve mettono in scena; il tempo sprecato nei preliminari non porterà al compimento del rituale. Anzi questo rituale diventa un atto assurdo, è il desiderio di compiere un’azione che non potrà mai superare la distanza che separa il sogno dalla realtà. Una fallimentare ripetizione magica, il riflesso deformato del mondo dei padroni, che le serve adorano, imitano, disprezzano”.

La figura di Madame, simbolo del potere, cui sono inscindibilmente legate, assume per le due donne quasi la forma di un’ossessione: l’esistenza stessa delle serve è dominata e determinata dalla volontà della padrona, cui esse ubbidiscono, pur senza esitare a tradirla, indirettamente, denunciando il suo amante alla polizia con lettere anonime per poi, nel timore di essere scoperte e punite da colei che governa le loro vite, giungere fino alla determinazione di causarne la morte. Nella ripetizione del rito, in cui si trasformano nella signora, perpetuando la propria dimensione servile, si rispecchia la loro visione del mondo, conforme alla struttura della società capitalistica, in cui gli ideali più elevati corrispondono alla ricchezza e al potere, come all’appartenenza a una élite, insieme all’acquisizione di beni materiali come manifestazione esteriore e simbolica di quelle (dubbie) virtù.

“Le Serve desiderano essere la Signora, aspirano ad un modello che è il risultato di credenze, rappresentazioni indotte dalla struttura sociale – spiega Veronica Cruciani –. Ognuna delle due vorrebbe essere diversa da quella che è, ognuna di loro si sente migliore dell’altra, ed entrambe aspirano ad un ruolo di maggior potere. Ma nel momento in cui non riescono ad uccidere la Signora falliscono e questo fallimento le mette in contatto con la loro incapacità di immaginarsi diverse da quelle che sono… Quindi si ritroveranno a ripetere sempre la stessa storia, a vivere lo stesso copione di vita che qualcun’altro ha scritto per loro». E conclude: «Come nelle “Serve” anche nel mondo reale la discrepanza è cosi introiettata dentro di noi che non siamo più in grado di ribellarci e persino di immaginarci diversi da come gli altri ci pensano. La realtà è disegnata dal potere, dal denaro, dall’altra parte ci sta chi non ne ha. E ci resta”.

“Le Serve” – nell’allestimento di Nidodiragno / CMC, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Teatro Stabile di Bolzano, con scene di Paola Villani, costumi di Erika Carretta e drammaturgia sonora di John Cascone – conserva intatta l’attualità di una metafora del potere, che suscita una mescolanza di attrazione e soggezione, per cui Madame è insieme il modello a cui ispirarsi e la nemica da temere, una sorta di divinità sconosciuta e terribile. Una creatura che sfugge a ogni umana categoria e classificazione, l’immagine stessa di un’autorità superiore e incontestabile, con cui le due donne si confrontano quotidianamente, di cui spiano le azioni cercando di indovinarne i pensieri, sperimentandone perfino fragilità e inclinazioni, senza riuscire a comprenderne l’essenza o a svelarne il mistero.

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