Cosa può insegnare l’esperienza della Gallura alle polemiche del primo maggio

Le polemiche del primo maggio e l’esperienza in Gallura

Sulla crisi della rappresentanza della politica e dei corpi intermedi è stato già detto molto, forse troppo, ma il 1° maggio, sabato sera e la domenica successiva, pur non avendo seguito “il Concertone” in TV, preferendo seguire i gesti della Chiesa locale – suggeriti da Papa Francesco per l’anno dedicato al più silenzioso e famoso dei lavoratori, San Giuseppe – non ho potuto esimermi dal leggere, ascoltare e guardicchiare il profluvio di commenti per il “coraggioso” (sic!) intervento del grande rapper-influencer-producer-conduttore, etc. etc. etc.

Per quale cortocircuito del pensiero abbiamo assistito alla immediata beatificazione, da parte di tanta intellighenzia, oltre che da media e social, di uno dei principali testimonial della multinazionale mondiale dell’E-commerce è un mistero per anime belle. Davvero questo personaggio ha raccolto la voce dei lavoratori, dei disoccupati, dei neet, rubando la scena ai cantanti (quelli veri) ed infine ai leader sindacali???

Che la galoppante digitalizzazione e la socializzazione abbiano messo in discussione vecchi e vetusti modi e mondi della rappresentanza è un dato certo: abbiamo assistito a partiti politici – nati da slogan scanditi da comici su palcoscenici – cresciuti sulle piattaforme, sino ad arrivare in forze in Parlamento aprirlo come una scatola di tonno, trovandovici, invece, il caviale e adeguandosi di conseguenza all’andazzo dello status quo prima tanto criticato. Ma questa è un’altra storia, il cui esito si scoprirà, prima o poi, se – finalmente – torneremo a votare.

Ritorniamo al 1°maggio: sentire il rapper etc. sciorinare una litania di diritti civili (assolutamente opera lecita e, forse, meritoria, al di là delle posizioni pro o contro questo o quel diritto), con a margine – ma proprio a margine, quasi a giustificare tutti gli altri – quelli dei lavoratori e delle lavoratrici (quindi anche i miei e i vostri) dalla voce di cotanto influencer a me ha fatto specie.

Rilevo solo io che è paradossale, conoscendo un po’ i meccanismi dello showbusiness, dei social media che l’effetto finale – credo ben calcolato – sarà quello di far crescere il già cospicuo seguito di milioni di follower del “nostro” paladino, incrementando il suo potere contrattuale con gli sponsor e, di conseguenza, il suo pare, anche questo, abbastanza cospicuo, conto in banca? In fondo “love is love” e “business is business”. Il 22 marzo scorso ha avuto luogo il primo sciopero dei dipendenti di Amazon logistica Italia e Amazon transport Italia per manifestare, qui per davvero, per chiedere migliori condizioni contrattuali di lavoro. Su Il Riformista del 31 marzo, in un bell’articolo di Bertinotti se ne dà conto, andatevelo a leggere qui. Sul palco del 1° maggio, invece, c’è andato il suo più famoso testimonial italiano. Per me tutto ciò è un paradosso assolutamente emblematico del cortocircuito  della ragione in cui siamo immersi.

Che le grandi centrali sindacali abbiano abdicato al loro ruolo in un momento di gravissima crisi per la pandemia e per le sue conseguenze sull’economia che, ad oggi, ha già cancellato oltre un milione di posti di lavoro mi pare inverosimile, che – più scaltramente – vogliano cavalcare l’onda social-mediatica dell’influencer  sembra troppo machiavellico, considerando che la sua ombra ne riduce, almeno nell’immediato, ruolo e autorevolezza.

Cosa ci insegna, a voler cercare il positivo in questo bailamme di eventi e posizioni? Che guardare con attenzione, scevra da pre-giudizio, alla realtà, per quanto mediatica e/o digitale, ci fa capire che esiste una domanda di rappresentanza di interessi e di istanze che vuole avere voce e risposte ed è in gran parte inevasa e insoddisfatta.

Questo dato costituisce una grande provocazione per noi operatori e dirigenti dei corpi intermedi, associazioni, sindacati e movimenti: dobbiamo recuperare il nostro ruolo di veri portatori di interessi diffusi, popolari, di aziende, imprese e lavoratori, perfezionando la nostra capacità di “antenne sul territorio” capaci di intercettare bisogni e proporre soluzioni. Lungi da me, come potrebbe apparire di primo acchito, criticare il lavoro dei colleghi del sindacato, anzi, frequentando i loro uffici, soprattutto i CAF, si comprende il rilevante ruolo da essi esercitato nella moltitudine di procedure necessarie per mettere in condizione i lavoratori e le famiglie di ottenere i benefici degli ammortizzatori sociali (CIG, Fis, Naspi etc), delle esenzioni, del godimento del diritto allo studio, alle pensioni e via discorrendo. Un ruolo rilevante, utile e necessario, vicino alla gente.

L’esperienza personale di questi anni, con il Tag (Tavolo Associazioni Gallura: Agci, Cna, Confartigianato, Confapi, Confcommercio, Confagricoltura e Cgil, Cisl e Uil nelle loro declinazioni territoriali) mi ha insegnato che, riducendo l’autoreferenzialità, guardando più a quel che unisce e meno a quanto divide, è stato possibile portare il livello della rappresentanza di imprese e lavoratori ad un piano più alto sui temi caldi del nostro territorio: viabilità, sanità, occupazione, programmazione territoriale, provincia, crisi idrica, giusto per citarne alcuni. Ma questo non basta e, approfittando della ridotta mobilità fisica imposta dai vari decreti, stiamo oggi investendo una parte rilevante del nostro tempo, del nostro lavoro, per apprendere meglio come usare quelli che sono divenuti strumenti indispensabili per stare dentro quello che Papa Francesco ha definito “Non un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca”. Digitalizzazione, big data, analisi degli scenari attuali e futuri, comunicazione, intelligenza emotiva sono alcuni dei contenuti delle attività formative poste in essere ai vari livelli dalle principali sigle datoriali e sindacali, e dalle unioni camerali per cui lavoriamo, e che ci vede tutti impegnati a re-imparare nuovi linguaggi e strumenti.

Nell’introduzione accennavo alla scelta di optare, anche il 1°maggio, per gli eventi proposti dalla Chiesa, è una scelta non casuale perché – oltre che far parte del mio percorso educativo e professionale – la Dottrina sociale della Chiesa costituisce sin dal 1941 (Papa Pio XII)  un patrimonio di filosofia cristiana sui temi del lavoro, dell’economia e della morale. Fra le occasioni “formative” di questo tempo non posso non citare il percorso iniziato, ad Olbia,  quest’inverno con i parroci di san Ponziano, don Alessandro Fadda e di san Michele Arcangelo, don Theron Casula e altri amici del mondo del lavoro, dell’impresa e del sindacato. Una serie di webinar con primarie personalità (Gigi de Palo, mons. Bruno Bignami, Mons. Mario Toso, Savino Pezzotta,  Stefano Zamagni, solo per citarne alcuni) dei movimenti per la famiglia, della Cei, del sindacato, esperti dell’economia, della cooperazione e della ricerca. Un percorso affascinante in cui l’unico rammarico, visti i tempi, è stato quello di non poterli seguire in presenza. A testimonianza di una Chiesa più che vicina al mondo del lavoro e che, sempre con le parole di Papa Francesco, “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.

Infine, planando sul terreno, giusto ieri, al telefono con un amico commercialista ci si interrogava così “certo ci stiamo iperspecializzando in molte cose, ma, dopo tutta questa formazione le aziende, gli imprenditori ci chiedono: siete sempre in webinar, ma alle nostre imprese poi chi ci pensa?”. Giusta domanda cui dare risposte adeguate: in primis accompagnando anche le imprese verso l’inevitabile orizzonte della digitalizzazione, però passando dal primo livello, quello della relazione, del contatto diretto (pur con i limiti delle zone gialle, arancioni e rosse), del confronto fra uomini e donne del lavoro e dell’impresa per capire le attuali nuove esigenze delle aziende, reduci da 10 anni di crisi economica mondiale e da oltre un anno di quella legata alla pandemia.

Se non procederemo a recuperare rapporti e relazioni, a parlarci e ad ascoltarci, rischiamo di lasciare che menestrelli improvvisati e stonati ci portino verso la Chernobyl della rappresentanza.

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