La dura vita di chi vive nella periferia di Olbia, aspettando i piani di risanamento. L’INCHIESTA

Strade bianche, assenza di fogne e di illuminazione appena fuori città.

C’è una coincidenza non troppo casuale tra le zone di Olbia che sono state danneggiate dalle alluvioni verificatesi negli ultimi quattro anni e i piani di risanamento: quartieri satellite nati nelle periferie cittadine, in aree prive di infrastrutture e servizi. In città se ne contano 17, metri cubi di cemento gettato senza regole, edifici spesso confinanti con fiumi e canali. Gli stessi che durante le piogge eccezionali del 2013 e del 2015 hanno esondato causando drammatiche conseguenze. Col passare degli anni, i piani di risanamento sono diventati sempre più grandi e popolati.

In alcuni casi sono stati dotati delle infrastrutture proprie di un centro urbano: condotte fognarie e di raccolta delle acque bianche, illuminazione pubblica, marciapiedi e asfalto. In altri, invece, mancano ancora le opere primarie. Interventi costosi che il Comune realizza attraverso gli oneri di urbanizzazione versati dai privati cittadini in osservanza di quanto prescrive la legge, con la speranza di ottenere delle condizioni di vita più decorose.

Per le amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni, i piani di risanamento sono sempre stati un fardello. Un problema da risolvere con la calcolatrice alla mano, per quantificare le somme da poter spendere senza rischiare di violare il Patto di stabilità, procedendo con l’armonia di un acrobata per non stravolgere gli equilibri di bilancio e con occhio vigile per individuare quelle zone dove non è più ammissibile aspettare. Nell’amministrazione Nizzi, all’interno della struttura urbanistica, un gruppo di persone si dedica esclusivamente ai piani di risanamento.

“Abbiamo deciso di prendere in mano, con l’obiettivo di completare le opere definitivamente, tre o quattro piani di risanamento all’anno – spiegava prima dell’estate Angelo Cocciu, assessore all’Urbanistica del Comune di Olbia -. Al momento si lavora su Santa Mariedda, Ruinadas, Pittulongu e Giua”. A Santa Mariedda, nelle strade dei santi, l’inverno è un nemico. “Quando piove un po’ più del solito, gli abitanti delle vie Santa Chiara, San Michele e Sant’Elena – raccontava l’assessore – non riescono a tornare a casa. Le strade, ancora bianche, diventano una trappola per le macchine e un incubo per i cittadini. Stiamo definendo la progettazione per asfaltare quelle vie, verrà fatto tutto entro l’anno”.

Situazione simile a Ruinadas, dove manca ancora l’asfalto in quattro vie importanti: anche queste considerate prioritarie dalla struttura urbanistica comunale. A Pittulongu, uno dei piani di risanamento più complessi sotto il profilo strutturale, diventato simbolo del mattone selvaggio di Olbia negli anni di mancato controllo, ci sono vie e dunque utenze che non hanno le infrastrutture primarie: niente fogne né condotte di raccolta delle acque bianche e niente asfalto. “Anche in questo caso – commentava Cocciu- si interverrà nelle vie più trafficate per eseguire le opere indispensabili e tanto attese: allacci fognari, raccolta delle acque piovane, asfalto, marciapiedi e illuminazione”.

Sotto la lente di ingrandimento della squadra di professionisti che si occupa dei piani di risanamento, c’è anche quello di Giua. In questo caso, l’amministrazione comunale ha eseguito la progettazione preliminare e ha affidato ad un ingegnere la stesura di quella definitiva. A complicare e ritardare i lavori sono state le emergenze causate dalle alluvioni che hanno colpito diverse parti della città, comprese quelle in cui ancora mancano le infrastrutture di base: magari costruite sugli argini di fiumi castrati dal cemento o nelle vicinanze di canali parzialmente ostruiti.

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