Artigianato sardo a rischio.
Confezionano abiti e calzature, intagliano il legno e scolpiscono la pietra, modellano l’oro, l’argento e gli altri metalli, scattano fotografie e girano filmati, creano profumi e cosmetici, conciano la pelle e restaurano beni culturali, aggiustano orologi e strumenti musicali.
Sono le 6.850 le imprese artigiane dell’artigianato artistico della Sardegna che, con i loro 13.942 addetti, realizzano, prevalentemente con tecniche manuali ad alto contenuto professionale, prodotti di elevato valore estetico. Rappresentando il 19,7% di tutto il comparto artigiano della Sardegna, e il 20% dei dipendenti, l’artigianato artistico riunisce il capitale umano delle imprese che, creando valore economico, culturale e sociale, realizzano prodotti ad alto contenuto identitario ed esprimono la cultura dei popoli, rappresentando simboli delle tradizioni e della creatività.
E’ questo, in sintesi, ciò che emerge dall’analisi effettuata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Sardegna per le MPI, con i dati UnionCamere-Infocamere del primo trimestre 2019, relativa alle imprese dell’Artigianato Artistico.
A livello nazionale, la Sardegna occupa la sedicesima posizione come numero di imprese. Al primo posto la Toscana (30.126 aziende), seguita dalle Marche (12.110) mentre all’ultimo posto c’è la Liguria (6.896), contro un totale nazionale di 288.733.
Tra i territori, 2.655 realtà, con 5.325 dipendenti, sono registrate nella vecchia provincia di Cagliari, 2.307 in quella di Sassari che offrono lavoro a 4.758 addetti, 1.331 a Nuoro con 2.596 lavoratori, e 557 a Oristano che chiude con 1.263 addetti.
Secondo recenti indagini di Confartigianato, in Sardegna come nel resto dell’Italia, troppe di queste realtà scompaiono nel silenzio perché non reggono il ritmo delle produzioni industriali e perché, pur economicamente valide, la loro diffusione commerciale è limitata. Per l’associazione di categoria, la tutela di tali professionalità avrebbe bisogno di due elementi basilari: i fondi e le strutture. Il primo fattore servirebbe a riequilibrare economicamente l’attività, ovvero renderla competitiva da punto di vista commerciale, affinché mantenga la propria identità artigianale, mentre il secondo sarebbe necessario per farla “vivere”, esercitandola, ad esempio, in contesti che stiano all’interno di spazi espositivi.