Functional training, Stefano Ibatici sportman

La vita per lo sport dell’istruttore Stefano Ibatici.

Stefano Ibatici, 50 anni e non sentirli, ha praticato con passione tanti sport condizionato all’inizio dall’inconfondibile dna familiare: “Mio nonno Remo e mia padre Luciano sono stati campioni italiani di atletica leggera“. Stefano tocca il suolo di Olbia quando ha appena due anni. “Papà è stato il 17° dipendente dell’Alisarda. Siamo figli dell’Aga Khan“.

A 6 anni Gabriella Degortes lo avvia alla corsa all‘Atletica Olbia: “Mi piaceva moltissimo. Ricordo come fosse oggi la prima gara a Sassari. Non avevo ancora compiuto 8 anni”. Il destino lo strappa alla pista. “Il maestro Sergio Todesco aprì la prima palestra di taekwondo proprio sotto casa. I film di Bruce Lee fecero il resto. Rimasi affascinato. Quando iniziai a praticare Marco Varrucciu era già cintura verde”. Il taekwondo lo conquista. “Un’arte marziale dinamica, tecnica e atletica”.

Il trasferimento a Pisa per motivi di studio interrompe l’idillio. “In tutta la Toscana non c’era una palestra di taekwondo”. Stefano Ibatici non sta certo con le mani in mano. “Scelsi il kickboxing avendo la fortuna di incontrare un grande maestro come Roberto Fragale, attuale direttore della Scuola dello Sport della nostra Federazione”. Quali le differenze? “Rispetto al taekwondo c’è la parte pugilistica”. Specialità full contact. “Ero molto più abile con le gambe che con le braccia”.

Come ovviare a ciò? “Mi iscrissi alla Pugilistica “Galileo Galilei” disputando anche 5 combattimenti”. Nel ’91 Stefano è a Genova per intraprendere un nuovo percorso: “Mi avvicinai alla boxe francese o savate. Si tratta di una nobile arte nata nel capoluogo ligure e a Marsiglia nell’ 800″. Che tipo è Stefano Ibatici? “Sono un agonista. Non mi piace perdere nemmeno quando gioco a scopa con mia nonna”. Con una risoluta specificazione: “Devo meritarlo. La vittoria fine a se stessa non ha senso. Ciò che fa la differenza è la prestazione, da cui deriva la vera soddisfazione”.

Un insegnamento che Stefano trasmette ai suoi allievi: “La vittoria è un obiettivo, ma non è un obbligo“. Da qualche anno dirige con Gabriele Manunta la palestra SK1 dove Alessandro Silvas è il responsabile della sala pesi. 600 frequentanti, 120 atleti amatori e una ventina di agonisti. Il doping pericolo pubblico numero uno. “Vuol dire barare ed è letale. Causa leucemie, cardiopatie, disfunzioni renali e patologie oncologiche”.

La Sk1 in prima fila per lo sport pulito. “Purtroppo è capitato di scoprire istruttori che si dopavano, Li abbiamo allontanati immediatamente“. Attualmente Stefano si dedica al functional training: “Una frattura da stress ad una vertebra lombare mi ha impedito di proseguire l’attività agonistica. Ora mi occupo di performare atleticamente e mentalmente i miei allievi. Sono più di 100, di tutte le età”. Quanto tempo impiega Stefano per capire se ha davanti un potenziale campione? “Ciò che conta è l’allenabilità e la determinazione. Senza quelle l’eventuale talento non serve a nulla”. Il prossimo obiettivo? “Il mio sogno è quello di preparare un atleta di alto livello per le Olimpiadi”.

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