Il grido di aiuto di Carolina Serreri nell’anniversario dell’alluvione del 2013

alluvione Olbia

La toccante lettera di Carolina Serreri.

Nel giorno del quinto anniversario della terribile alluvione che devastò Olbia provocando morte e distruzione Carolina Serreri, moglie di Francesco Mazzoccu e madre del piccolo Enrico lancia un toccante grido di aiuto che abbiamo l’onore di pubblicare.

Sono passati 5 anni da quel terribile 18 novembre. Quando un mare di fango affogò 9 olbiesi squarciando in maniera indelebile la nostra storia. Una ferita che non finirà mai di sanguinare. Sono Carolina Serreri, quel giorno ho perso mio figlio Enrico di 4 anni e mio marito Francesco che di anni ne aveva 35. E’ passato un altro anno di silenzio assordante. Un altro anno che avvicina alla prescrizione del processo che ha visto gli imputati assolti in primo grado il 29 settembre 2017. Nessuno in questa città pare aver interesse a parlare di una vicenda impossibile (almeno credevo) da dimenticare.

Nessuno ha mai pensato di intitolare una piazza a quelle vittime innocenti. O magari una scuola. Nessuno si è mai azzardato di proporre l’affissione di una targa che li ricordi. Nessuna istituzione. Mi verrebbe da pensare che non è accaduto poiché questo avrebbe fatto scaturire un rimorso di coscienza in chi ha delle responsabilità per quelle morti impunite. Non parlarne serve a far sbiadire il ricordo. Che riaffiora, sempre più flebile da parte della popolazione non direttamente coinvolta, solo e soltanto ad ogni anniversario. E’ passato un altro anno. Mi chiedo. Nella speranza che ne passi un altro e un altro ancora e tutto finisca nel nulla con un fallimento della giustizia da mettere anch’esso nel dimenticatoio? Non lo posso accettare nella maniera più assoluta.

Il tempo che passa è un’agonia senza fine per chi, quel maledetto giorno, ha perso la ragione per cui vivere. E che da quel momento vuole almeno giustizia. Non chiede altro. Non può certo trovare conforto nella processione con le candele accese che illumina la notte olbiese ogni 365 giorni. L’ultimo barlume di quella solidarietà esplosa come una cometa in quei tragici giorni. Non possiamo essere lasciati soli aspettando che il tempo passi invano. Quella cometa conduce alla giustizia. Non si deve spegnere. Non può essere schiacciata dall’interesse a mettere tutto sotto silenzio. Quella ferita che ha squarciato la nostra quotidianità sottraendoci gli affetti più cari deve essere tramandata. Perché ci sia giustizia per ciò che è accaduto. E perché non accada più. Che speculazioni senza ritegno e dimenticanze senza possibile perdono cancellino la ragione di vita di cittadini indifesi. Quella ragione a cui mi aggrapperò sino a quando potrò. Combattendo con tutta me stessa. Con gli occhi pieni del sorriso di chi dava un senso alla mia vita”.

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